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L’Italia dell’ospitalità davanti a nuove strategie

Felix Olbia entrata

Confidenti in un’estate foriera di arrivi e pernottamenti boom, gli albergatori della Penisola hanno dovuto fare i conti con una realtà, il caro-vita per gli italiani. Una realtà che mette, però, al sicuro le strutture luxury, oggi in grado di scongiurare brutte sorprese.

“Saremo già fortunati se a fine anno potremo ripagare gli incrementi dei costi strutturali – riconosce Paolo Manca, presidente Federalberghi Sardegna –, visto che, a fronte di un ritorno degli ospiti stranieri, la domanda interna si è sensibilmente contratta. Fra giugno e settembre il tasso di occupazione medio si è assestato sull’80%, contro l’85 del 2022 (ma con un calo al 50% rispetto ai primi sette mesi), riuscendo a incrementare il RevPar di uno, massimo due punti, soltanto grazie a un aumento del 6% circa dell’Adr. Quest’escamotage ha finito, tuttavia, per allontanare, nei mesi di picco estivi, il pubblico italiano, già pesantemente gravato da molteplici rincari del costo-vita nazionale”.

Per il settore ricettivo sardo, ma per buona parte degli albergatori italiani, volendo allargare lo sguardo senza troppi arzigogolii, si apre una fase decisamente delicata: posto che non sarà più possibile mettere mano a un rialzo del prezzo delle camere in vista degli ultimi mesi del 2023 e del 2024, la via di resistenza potrebbe consistere in una revisione dei costi e dei servizi complessivi. In una parola, la spending review si è trasformata in una extrema ratio da adottare non solo per i conti pubblici, ma anche privati: a farne le spese potrebbero essere dunque l’offerta alberghiera per gruppi organizzati (troppo cari da gestire, qualora garantiscano soggiorni medio-lunghi), ma anche la ristorazione interna degli hotel (eventualmente sacrificabile a favore di quella esterna), arrivando a una ricontrattualizzazione dei servizi di manutenzione o di portineria.

“Siamo di fronte a segnali contraddittori – ammette Daniele Barbetti, presidente Federalberghi Toscana –, perché, se i visitatori americani ed europei hanno trainato positivamente l’offerta delle città d’arte anche nei mesi più caldi, le destinazioni mare hanno inevitabilmente risentito del calo italiano e pure tedesco, mentre località luxury come Forte dei Marmi o il Sud dell’Argentario hanno addirittura segnato una sensibile crescita. L’inflazione sta impoverendo il segmento medio-basso e, di riflesso, minaccia l’esistenza di un’intera categoria di alberghi, messa brutalmente a un bivio storico: tagliare i propri costi sino al limite della sopravvivenza, nel caso l’andamento economico permanesse invariato o peggiorasse; riconvertirsi velocemente a categoria lusso, con il rischio, però, di venire poi declassati dai nuovi e severi parametri europei”.

Fortunatamente l’immagine turistica dell’Italia resta forte, e potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza per il segmento medio-basso, nel caso il Paese riuscisse a intercettare mercati emergenti. Vero è che visitatori coreani o indiani, ad esempio, tendono a privilegiare un’offerta più elevata. A complicare ulteriormente le sorti dell’offerta ricettiva è il forte consolidamento di concorrenti mediterranei come Egitto, Tunisia o l’Albania, divenuti “destinazioni rifugio” per gli italiani.

“È di vitale importanza trovare al più presto nuovi strumenti per investire in qualità dell’offerta – rilancia Gianni Battaiola, presidente Federalberghi Trentino –, anche perché gli eventuali arrivi dai mercati emergenti rischierebbero di tagliar fuori dalle proprie rotte la montagna italiana, destinazione non in cima alle preferenza per chi visita il nostro Paese la prima volta”.

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